14 Dicembre 2015

Del prezzo dell’olio e altre storie

Come spesso accade, è soprattutto grazie agli scandali e ai guai – vedi Xylella e altro ancora – che si parla di extravergine in Italia, intendo in ambiti che vadano oltre quelli degli addetti ai lavori.

Questa volta il guaio è stato grande (mi riferisco all’ormai nota “Indagine Guariniello”, il Pm di Torino che ha contestato a sette aziende italiane – o meglio, marchi italiani in alcuni casi di proprietà straniera – il reato di frode in commercio per aver venduto come extravergine olio che non lo era). Di olio extravergine (e non) ne ha parlato perfino la Litizzetto a Che Tempo che Fa, probabilmente il massimo dei “15 minuti di fama” a cui possa aspirare l’olio in Italia di questi tempi.

Senza addentrarci sugli aspetti tecnici della vicenda – tranne che per una doverosa spiegazione, per quanto grossolana, sulle differenze merceologiche tra le diverse categorie di olio ottenuto dalle olive oggi vigente nell’Unione Europea – mi vorrei soffermare su un paio di semplici punti che potrebbero forse essere di qualche utilità per chi si trova a comparare l’olio extravergine e non sa più bene come regolarsi.

Allora, innanzitutto diciamo che regolamenti e direttive europee stabiliscono quanto segue:

L’Olio extravergine di oliva è ottenuto tramite estrazione con soli metodi meccanici. Vuol dire che le olive vengono colte e lavorate nel frantoio senza subire altro trattamento oltre al lavaggio, alla separazione da rametti e foglie, alla centrifugazione e alla filtrazione, ottenendo l’olio che, per essere dichiarato extravergine, deve rispettare alcuni parametrici chimici tra cui la famosa soglia di acidità in percentuale ≤ 0,8. Valore che è individuabile ESCLUSIVAMENTE attraverso analisi chimiche e in nessun modo può essere riscontrato con l’assaggio dell’olio stesso. L’olio “acido” non esiste; esiste l’olio avvinato (è un difetto, ha note acetiche nell’odore), quello piccante (è un pregio, e non dipende da aggiunta di peperoncino o altro ma è una qualità intrinseca dell’olio), rancido, etc… 

L’Olio vergine di oliva è ugualmente ottenuto tramite estrazione con soli metodi meccanici, ma può presentare un valore di acidità più alto, pari a ≤ 2,0%. Non vuol dire che sia nocivo per la salute, ma di certo non ha tutte le note e decantate proprietà nutrizionali – in alcuni casi, anche nutraceutiche – dell’extravergine, e nemmeno quelle organolettiche. Motivo per cui, spacciare un olio vergine per extravergine è decisamente una frode.

 Poi abbiamo l’olio d’oliva lampante – olio d’oliva di qualità scadente e con valori di acidità e cere troppo alti, tanto da non essere considerato idoneo per il consumo alimentare.

olive

le olive pronte per essere molite

L’olio d’oliva raffinato invece è un olio “col trucco”: nel senso che si ottiene dalla rettificazione di oli vergini lampanti con metodi fisici e chimici e successiva raffinazione. Praticamente, viene deodoratoper eliminare odori sgradevoli – e in qualche caso anche decolorato, fino a non sapere praticamente più di nulla. Non si trova in commercio, ma… va a finire nelle bottiglie di olio d’oliva che troviamo al supermercato, composto da un “blend” di oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini, in modo da dargli anche un po’ di odore e di colore.

 Fermo restando che nessuno dei prodotti di cui è autorizzata la vendita per consumo alimentare è nocivo, c’è una gran bella differenza. 

Ma come abbiamo visto non sempre l’etichetta e il fatto di trovare un prodotto sugli scaffali dei supermercati basta a garantirci che stiamo comprando un “buon” prodotto, valutazioni e preferenze sensoriali a parte. Come fare a orientarsi all’acquisto? 

Se non avete modo di comprare l’extravergine da un produttore o frantoiano di fiducia – ma che sia di fiducia davvero però, perché anche in quel caso non è detto che l’olio imbottigliato sia esente da difetti o addirittura che sia oggetto di frode “in piccolo”, purtroppo – intanto c’è un utile indicatore che può aiutarvi: il prezzo. 

Spesso si dice he si tratti di un fattore ingannevole, che non per forza bisogna spendere una fortuna per comprare – tanto per fare un esempio “vicino” e comune – una buona bottiglia di vino.

Questo vale anche per l’extravergine: non deve costare per forza una fortuna (anche se, come per il vino, ci sono tanti fattori che possono motivare un prezzo alto, dalla particolare difficoltà di lavorazione a un packaging particolare), ma dobbiamo essere consapevoli che c’è un prezzo minimo sotto il quale non è ragionevole aspettarsi di trovare in bottiglia un prodotto di qualità. E se dovesse capitare, è il frutto di pratiche commerciali molto vicine allo “strozzinaggio” (passatemi il termine) a cui i produttori sottostanno pur di vendere il proprio prodotto che purtroppo, soprattutto nel caso dello sfuso e soprattutto al Sud Italia, difficilmente riesce a trovare una giusta remunerazione (anche a causa della concorrenza sleale di cui sopra). Qualche tempo fa, un amico produttore (dall’ottimo rapporto qualità/prezzo) ha provato a calcolare i suoi costi per stabilire un prezzo minimo di vendita a litro: era arrivato a circa 6 euro al litro, e mancavano ancora i costi di confezionamento (bottiglie, etichette etc) e, naturalmente, il suo guadagno. Facile capire, allora, che un olio extravergine messo sul mercato – quindi includendo anche i costi di filiera e distribuzione – non dovrebbe (e potrebbe) costare meno di 10 euro al litro o giù di lì, a seconda delle zone e di alcune variabili. 
Diciamo che 8 euro per la bottiglia da 0,75, è già un ottimo affare.

Davanti a bottiglie di “extravergine” sugli scaffali a cifre che stanno sotto ai 4 euro, dovrebbe venire qualche dubbio, quanto meno.

Altra “arma” nelle mani del consumatore: l’assaggio. È vero che non si può aprire l’olio sullo scaffale e annusarlo – anche se sarebbe bello che si mettesse una bottiglia-campione, come si fa per i cosmetici – ed è vero pure che non possiamo diventare tutti assaggiatori professionisti, però già imparare le differenze da un olio buono (non per forza eccezionale, ma esente da difetti) e uno scadente e difettato, aiuta quanto meno a non ripetere un acquisto sbagliato. 
Vi assicuro che è molto facile imparare: basta annusare un extravergine buono (magari segnalatovi da un negoziante o un ristoratore di fiducia, che ne sappia) accanto a uno non buono, facilmente reperibile al supermercato scegliendo la bottiglia trasparente in prima fila sullo scaffale: se anche fosse stato un buon extravergine, la luce – nemica dell’olio come l’ossigeno – lo avrà ormai fatto irrancidire, tanto che probabilmente se scavate e prendete una bottiglia più in fondo noterete che ha un colore diverso. 
Altrimenti, lasciate voi la bottiglia aperta per qualche giorno e il gioco è fatto.

L’olio difettato puzza – inutile usare eufemismi – e anche se non riuscirete a identificare il difetto specifico non potrete non rendervi conto della differenza!

di Luciana Squadrilli

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