2 Febbraio 2016

Pizza FormaMentis conclusioni. parte prima: Le opinioni degli esperti

Non si è trattato – e non era mai stata questa l’intenzione – di celebrare “funerale del forno a legna”, né tantomeno del tentativo di promuovere altri tipi di forni e i loro produttori (che hanno partecipato al convegno tra il pubblico e sono stati chiamati in causa da alcuni relatori, fornendo utili precisazioni tecniche). Dopo questa doverosa premessa, ribadita più volte dagli organizzatori, cerchiamo di dare un resoconto rapido ma completo della due giorni napoletana di Pizza FormaMentis – l’evento organizzato da LSDM insieme a Luciano Pignataro WineBlog, CorteseWay e Forma Mentis Innovazione e Sviluppo che si è svolto il 25 e 26 gennaio a Palazzo Caracciolo – partendo dagli interventi degli esperti chiamati al tavolo dei relatori nelle due giornate, insieme ad alcuni tra i migliori rappresentanti della Pizza Napoletana in Campania e non solo che citeremo in un post successivo. Nomi illustri e professionalità diverse – dal mondo accademico a quello della critica gastronomica – per garantire uno sguardo ampio ed eterogeneo, ma soprattutto autorevole, sull’impegnativo tema della discussione: Il Futuro della pizza napoletana: forno a legna, a gas o elettrico?
Non tanto – e certamente non solo – un confronto tra le diverse tipologie di cottura e di attrezzatura, ma soprattutto un’occasione per provare a ragionare su dove possa arrivare la pizza in un futuro più o meno prossimo (analizzandone opportunità e rischi, incluso quello rappresentato dalle limitazioni di licenze e problemi di installazione dei forni a legna soprattutto all’estero) e soprattutto su cosa sia e cosa voglia diventare.

Pubblico presente al convegno

Pubblico presente al convegno

Uno sguardo al passato
Prima di arrivare a parlare del futuro della Pizza Napoletana, oltre a delinearne al meglio il presente era necessario tracciare brevemente il suo passato. Ci hanno pensato ad esempio la dott.ssa Elisabetta Moro, antropologa e divulgatrice, e Antonio Mattozzi, memoria storica della pizza partenopea e autore del libro Una storia napoletana. Pizzerie e pizzaiuoli. A lui il compito di ricordare la storia e gli aneddoti dei forni a legna in città, mentre la Moro ha ricordato il ruolo fondamentale della pizza nella Dieta Mediterranea (modello alimentare messo a punto dal medico statunitense Ancel Keys negli anni ’50, ispirato dagli usi gastronomici campani) e le numerose citazioni nella letteratura italiana e straniera, da Matilde Serao – che nel Ventre di Napoli definisce la pizza “una delle adorazioni gastronomiche napoletane” – ad Alexandre Dumas che racconta dei lazzaroni nel suo Corricolo.

Il presente della Pizza Napoletana
A dare invece un quadro esaustivo del presente della Pizza Napoletana ci hanno pensato i rappresentanti delle principali associazioni di settore: Antonio Pace, presidente e fondatore dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, ha sottolineato l’importanza di riuscire a portare la pizza napoletana nel mondo nella sua veste più autentica e corretta, il che può servire anche ad aumentare la conoscenza e l’interesse verso la città di Napoli. «Ben venga l’innovazione se migliora la pizza, ma deve essere la tecnologia ad adeguarsi ad essa e non viceversa. Bisogna proteggere la “napoletanità” del disco di pasta condito, evitando gli abusi di nome che creano confusione». Per quanto riguarda la cottura, ha detto Pace, è fondamentale il tipo di calore, in particolare per quel che riguarda la platea, e non la quantità. La nuova frontiera rappresentata dai forni elettrici e a gas che ricreano temperature e distribuzione del calore il più simili possibile a quelle del forno a legna sembrano andare esattamente in questa direzione, anche se questo vorrebbe dire, ad esempio, rivedere il testo del disciplinare della Pizza Napoletana STG che contempla l’uso esclusivo del forno a legna. Sergio Miccù, presidente dell’Associazione Pizzaioli Napoletani, ha ribadito l’importanza delle materie prime utilizzate ma soprattutto della figura professionale del pizzaiolo, l’unico che possa garantire a tutti gli effetti la realizzazione di una vera pizza napoletana: «Il pizzaiolo è un artigiano in primis, bisogna riconoscerne la dignità professionale e garantire una formazione seria invece dei corsi di poche ore». Vanno in questo senso sia la richiesta di inserire la pizza nei programmi didattici degli istituti alberghieri, sia candidatura dell’arte dei pizzaioli napoletani a diventare Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Pizza e ristorazione
A Massimo Di Porzio, vicepresidente AVPN ma anche presidente Assoristoratori di Napoli, è spettato invece tracciare un parallelo tra il mondo della pizza – contemporanea – e quello della ristorazione, che dopo un passato “distante” sono ormai sempre più vicine tanto per quel che riguarda il legame con la cultura locale e con le dinamiche globali, tanto per l’organizzazione e le problematiche affini. Ma pure per la crescita conosciuta dalla Campania negli ultimi anni in entrambi i settori grazie alla capacità di puntare su prodotti di qualità e del territorio. Per quanto riguarda l’innovazione tecnologica applicata alla pizza – e alla sua cottura – però, Di Porzio frena: «L’innovazione è necessaria, ma deve essere “controllata”. Un conto è essere passati dall’impasto manuale a quello a macchina, migliorando il lavoro e i risultati, ma per la pizza napoletana la cottura deve essere nel forno a legna.Piuttosto, perchè non puntare su un singolo “prodotto”rappresentativo come la Margherita, e puntare all’IGP invece della più debole STG?» conclude provocatoriamente. A ribadire il legame tra pizza e ristorazione anche l’intervento di Tommaso Luongo, Delegato AIS Napoli, che ha passato in rassegna abbinamenti storici e innovativi per accompagnare la pizza al buon bere, dal vino rosso di Gragnano alle bollicine francesi – «Nemmeno Murat avrebbe pensato di abbinare la pizza allo Champagne» – sottolineando l’importanza della “napoletanità” della pizza e della gioia dell’abbinamento; e quello di Eugenio Signoroni, co-curatore della guida Osterie d’Italia di SlowFood, che ha tracciato un riuscito paragone tra pizzaiolo e oste per la comune capacità di fare cultura del territorio e promuoverne la biodiversità.

Momento di confronto

Momento di confronto

Identità e tipicità della Pizza Napoletana
Sul concetto di tipicità e di identità sono tornati anche l’antropologo Marino Niola – docente tra l’altro di Miti e riti della gastronomia contemporanea – e l’enololo Luigi Moio, autore di un saggio su questi temi. Il primo ha affrontato dal punto di vista identitario il brand Pizza Napoletana, vero e proprio marchio-simbolo della città e della sua cultura, sempre più proiettato a essere la “bandiera planetaria” di Napoli passando da cibo a simbolo, emblema del modo di essere di una comunità e capace di rappresentarla nel mondo. Il secondo ha tracciato invece un altro interessante parallelo, con il mondo del vino questa volta, dove la tipicità deriva «dalla condivisione sociale di un modello ad opera dell’uomo, che è pertanto dinamico e non statico» mentre l’identità è legata a «qualsiasi cosa ne renda un’altra identificabile e riconoscibile per le sue caratteristiche intrinseche». Dunque, conclude Moio, la Pizza Napoletana – frutto della creatività e dell’abilità dei pizzaioli napoletani e importante elemento di promozione del territorio stesso – può e deve essere esportata nel mondo, facendo qualità senza omologazione, anche se questo significa “accettare” la possibilità di una cottura alternativa rivedendo il “patto” che ne sancisce la tipicità. Anche considerando la “tutela affievolita” di cui al momento gode la Pizza Napoletana STG ribadita da Francesco Aversano, avvocato esperto in diritto agroalimentare, che punta però soprattutto sulla “irriproducibilità exraterritoriale” della pizza stessa.

Gli aspetti tecnici
Ad altri esperti il compito di passare in rassegna gli aspetti più tecnici della questione, indispensabili per una analisi lucida. Il dott. Antonio Limone – commissario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, responsabile dei controlli di sicurezza effettuati sul cibo che mangiamo ogni giorno – ha illustrato in maniera rapida ma chiara i possibili effetti dannosi per l’organismo delle tre tecniche di cottura della pizza prese in esame, dovute a residui di benzopirene e altri IPA (idrocarburi policiclici aromatici) derivanti da cotture come l’affumicatura e la grigliatura, oltre che quella al forno a legna. Rassicuranti le sue conclusioni, che dimostrano che – a patto che si utilizzino buone pratiche, come ad esempio avere l’accortezza di eliminare la farina in eccesso che brucerebbe durante la cottura, di tenere ben pulito il forno e di non usare legna resinosa – la cottura al forno a legna determina un livello di benzopirene uguale a quello degli altri due tipi di forno, sotto la soglia dei 0,2 mg/kg. La prof.ssa Annalisa Romano, docente di Tecnologia Alimentare e coautrice insieme al prof. Paolo Masi del libro di Enzo Coccia dedicato agli aspetti scientifici della Pizza Napoletana, ha sottolineato come la cottura sia solo una delle diverse e importanti fasi del “processo di produzione” della pizza, ribadendo che «la conoscenza scientifica non vuole sostituirsi all’esperienza del pizzaiolo ma essere uno strumento al suo servizio». Lo stesso Masi ha affrontato il tema dei diversi forni dal punto di vista dei costi e della sostenibilità, sottolineando però l’innegabile «carattere tipizzante della Pizza Napoletana» dato dal forno a legna e concordando con il concetto di “innovazione pensata e modulata” espresso anche da Di Porzio. L’importante, sembra essere la sua conclusione e quella di molti altri relatori, è che venga preservato il risultato finale, riconoscibile e soprattutto buono.

Relatori

Relatori

Il “sistema pizza”
Ma altrettanto importante è, come ha ricordato Antonio Lucisano, avere ben chiara quale possa essere «l’opzione strategica della Pizza Napoletana». Visto il sostanziale fallimento della STG nel tutelarne l’autenticità e la sua immagine nel mondo, e vista l’improbabilità (e impossibilità) di un riconoscimento “superiore” come la DOP o l’IGP, le opzioni sono da un lato incrementare il turismo incoming a Napoli anche grazie alla pizza, dall’altro soprattutto “invadere” il mondo con la vera Pizza Napoletana, passando da una posizione di difesa a quella di “attacco” per evitare che tra le tantissime pizze mangiate nel globo – visto che si tratta di uno degli alimenti più amati e consumati in assoluto – quelle Napoletane non restino una minoranza. Per far questo, conclude Lucisano, è però necessario «mettere a sistema la grande e riconosciuta tradizione napoletana» coinvolgendone i soggetti principali: pizzaioli, associazioni di categoria, produttori di forno, consumatori, enti di formazione e operatori turistici e della comunicazione.

di Luciana Squadrilli

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