3 Febbraio 2016

Pizza Formamentis: La parola ai Pizzaioli

Erano loro i veri protagonisti del convegno: tra i relatori delle due giornate, seduti tra il pubblico – tanti, venuti anche da lontano per ascoltare e confrontarsi con colleghi ed esperti –, chiamati in causa nel corso di molti interventi, e naturalmente pronti a sfornare pizze durante la pausa pranzo: lunedì quasi tutti i partecipanti hanno scelto di andare a mangiare una pizza in una delle tante pizzerie nei dintorni di Palazzo Caracciolo, mentre martedì qualcuno ne ha approfittato per un’estemporanea “degustazione comparata” di pizze cotte al forno a legna e a quello elettrico – lo Scugnizzo Napoletano di Izzo Forni – da Eccellenze Campane (per la cronaca, sebbene non si sia trattato di una “prova scientifica”, le differenze erano impercettibili ma va tenuto conto che “il manico” era quello del bravissimo Guglielmo Vuolo, e come vedremo tra le conclusioni del convegno forse la più importante è proprio questa: è la bravura del pizzaiolo, più che il forno usato, a “fare” la pizza). Volendo sintetizzare e anticipare le posizioni dei pizzaioli, al di là di posizioni personali dovute anche a motivi “affettivi” e a diverse abitudini lavorative, c’è un sostanziale accordo su un punto fondamentale: nessuno dei pizzaioli intervenuti, napoletani o meno, rinuncerebbe al forno a legna là dove ci fossero le condizioni per usarlo. Ma quasi tutti sono pronti a cimentarsi con altre tipologie, pur di poter fare le loro pizze anche dove non sia possibile usare la legna.

Palazzo Caracciolo, sede dell'evento

Palazzo Caracciolo, sede dell’evento

Impasto e cottura

La prima sessione “tecnica”, introdotta da Maurizio Cortese e resa particolarmente vivace dai contributi dei diversi pizzaioli in sala, ha visto il confronto serrato sui temi di impasto e cottura. Ad aprire gli interventi è stato Marco Lungo che, sebbene non sia propriamente un pizzaiolo, entra di diritto nella categoria grazie alla sua grande competenza tecnica e all’esperienza maturata sul campo, come consulente e tecnico degli impasti. Inizia sottolineando l’importanza della cottura e sfatando un po’ di luoghi comuni: «Maturazioni lunghe non sono sinonimo di qualità. La digeribilità della pizza dipende dalla corretta gelificazione degli amidi, che si ha solo con una giusta cottura». Una cottura sbagliato, magari troppo veloce, rischia quindi di nuocere alla pizza a prescindere dal forno usato; solo l’esperienza del fornaio può garantire il risultato perfetto.

Enzo Coccia, dopo aver ricordato i tempi di cottura indicati anche dal disciplinare – da un minimo di 45 ad un massimo di 90 secondi, oltre i quali si avrebbe una pizza biscottata – ha ribadito la necessità di adeguare i tempi e modi di cottura per i diversi tipi di forno, a parità di impasto, analizzando attentamente non solo le temperature ma soprattutto il modo in cui avviene la cottura: nel forno a legna, il calore diffuso per irraggiamento determina la giusta cottura e lo sviluppo del cornicione; quello per convezione cuoce il centro e il condimento, mentre quello per contatto – dovuto al calore della platea – garantisce la cottura della parte inferiore del disco.

I pizzaioli (e fornai) esperti sanno che per ognuno di questi aspetti ci sono tipi di legname più indicati, che non influiscono sugli aromi della pizza ma sulle modalità di cottura. Per avvalorare le sue parole, Coccia mette sul tavolo – non solo in maniera figurata – tre tavolette di legno diverso: la quercia brucia lentamente garantendo calore costante, il carpino si consuma facilmente scaldando a dovere il piano di cottura, il faggio brucia velocemente e crea la “lampa” necessaria per garantire l’irraggiamento e può provocare la leopardatura del cornicione. «Il forno a gas e quello elettrico – conclude il pizzaiolo de La Notizia – possono essere delle buone idee per il futuro, non possiamo fare a meno della tecnologia». Ma allo stesso tempo mette in guardia contro il rischio di “McDonaldizzazione”:«Dobbiamo evitare di standardizzare il processo produttivo, eliminando il “pensiero” dalla pizza. Non dimentichiamo che la figura del fornaio ha 200 anni di storia».

Sulla stessa lunghezza d’onda Guglielmo Vuolo, che sottolinea il rapporto “empatico” tra pizza e pizzaiolo ma anche la necessità di studiare sugli aspetti tecnici e scientifici: «Bisogna saper leggere l’impasto – ricorda il pizzaiolo di Eccellenze Campane – ti dice lui come vuole essere cotto. Senza rimanere per forza legati al passato: trent’anni fa c’erano altre farine e le cotture erano necessariamente diverse. Io oggi mi trovo a dover lavorare anche con un forno elettrico, e voglio conoscere e comprendere quello che succede. Essere in grado di ottenere una vera Pizza Napoletana pure con altri forni è fondamentale per preservarne l’autenticità».

Anche Corrado Scaglione – che al suo Lipen a Triuggio, in Brianza, porta avanti la sfida di fare una Pizza Napoletana coi fiocchi – sottolinea l’importanza della sempre maggiore conoscenza professionale del settore ma avanza qualche dubbio (anche in base alla sua esperienza diretta, tanto con il forno a legna che con quello a gas) che l’impasto reagisca in modo diverso ai diversi tipi di forno: «Per me l’importante è la temperatura; uso il forno a legna, che tra l’altro è più difficile da gestire, ma non per questo smetto di guardarmi intorno».

Salvatore Kosta, tecnologo alimentare e “creatore di impasti”, ha riportato appunto l’attenzione sull’impasto. A suo parere, infatti, è questo – insieme all’abilità del pizzaiolo – l’elemento fondamentale di una buona pizza: con uno stesso impasto e la cottura nei tre diversi tipo di forno, si ottiene a suo parere un prodotto il cui gusto (caratterizzato più che dall’aroma di legna o meno, dalla comune presenza dell’umami) non cambia.

A chiusura della prima sessione, una doverosa precisazione da parte dell’ingegnere Giuseppe Krauss di Izzo Forni, a cui si è poi aggiunta quella di Massimo Valoriani che in Toscana realizza (anche) forni a gas. In entrambi i casi si tratta di prodotti di nuova generazione e ad altissima tecnologia, capaci di replicare temperature e condizioni di cottura molto simili a quelle del forno a legna, messi a punto grazie alla collaborazione e alla sinergia con i migliori artigiani della pizza napoletana per conoscerne esigenze e consuetudini.

Pubblico presente

Pubblico presente

L’importanza del pizzaiolo

Altro giro di tavolo tra pizzaioli nella sessione presieduta da Albert Sapere, con posizioni a volte simili a volte meno. Tutti concordi però sulla necessità di una formazione seria ed efficace per tutelare e promuovere la dignità della Pizza Napoletana nel mondo, e pure quella dei pizzaioli.

Salvatore Salvo porta la sua esperienza con forni differenti da quello a legna in occasione di eventi all’estero o fuori Napoli, come pure negli studi RAI: «Forni diversi richiedono accorgimenti diversi, ma questo succede anche passando da un forno a legna all’altro; tutto sta nell’abilità dell’operatore. Noi siamo riusciti a portare la nostra pizza all’estero e in televisione, e questa è una grande opportunità per la Pizza Napoletana, per farla arrivare oltre i confini di Napoli. La nuova sfida per noi pizzaioli sta proprio nella cultura e nel confronto necessari per affrontare l’innovazione, senza però dimenticare la nostra memoria storica.

Gianfranco Iervolino, pizzaiolo-cuoco, ha ricordato l’evoluzione delle tecniche di cottura in cucina negli ultimi decenni: dai fuochi all’induzione, dal microonde al sottovuoto, gli chef non si sono certo tirati indietro, perché dovrebbero farlo i pizzaioli? Però, ammette, la pizza è anche e soprattutto emozione e in questo il forno a legna non si batte. Secondo lui inoltre – contrariamente a qualche intervento precedente – è pure più semplice da gestire rispetto a quello a gas, per lo meno per un fornaio esperto che riesce più facilmente ad ottenere risultati costanti.

Conferma anche Giancarlo Casa, patron della Gatta Mangiona di Roma che con le sue pizze omaggia la grande tradizione napoletana nella Capitale. «Il problema principale dei forni a gas o elettrici è nella tenuta del calore nel tempo; fino a qualche anno fa era impossibile non avere pizze biscottate a meno di non cambiare radicamente l’impasto» ha spiegato, riferendosi però a forni “tradizionali”, prima di lanciare anche una provocazione riguardo alle “mode” della pizza contemporanea, dal lievito madre alle farine integrali (temi, però, che andrebbero affrontati con una discussione a parte, magari in un prossimo futuro).

Franco Pepe – spesso indicato come esempio tradizionalista per il suo (fantastico) impasto a mano – ha sorpreso la platea annunciando che sta lavorando alla messa a punto di una speciale impastatrice che possa replicare i risultati delle braccia: «Fino a qualche tempo fa avevo timore del forno elettrico, oggi non mi tiro indietro» ha inoltre spiegato il pizzaiolo di Caiazzo, che ha più volte sfornato pizze eccellenti anche senza fiamma. «I pizzaioli napoletani – ha poi proseguito – si basano spesso sull’esperienza più che sulla conoscenza scientifica; se avessero avuto alle spalle una formazione seria, oltre al lavoro di generazioni precedenti, sarebbe stato più semplice, ma di passaggi evolutivi la Pizza Napoletana ne ha già fatti diversi: dal criscito al lievito di birra, dall’impasto manuale a quello a macchina». Occorre dunque affiancare una formazione rigorosa all’esperienza dietro al banco, e cercare occasioni di confronto e crescita come quelle con gli chef stellati, a cui lui ammette di “rubare” i segreti ogni volta che ne ha la possibilità.

Il gusto della pizza

Si è concentrata su un altro elemento cruciale, infine, l’ultima sessione dedicata ai pizzaioli del primo giorno, condotta da Tommaso Esposito: il gusto della pizza. Come a dire: cuocetela come vi pare ma non scalfitene la bontà, e quella irresistibile scioglievolezza della pasta che diventa tutt’uno con il condimento e che, a dir la verità, secondo Esposito – dichiaratamente parziale – attiene solo alla cottura a legna, con quelle avvampature della fiamma che della pizza segnano la vista e il gusto.

Ne sostiene le posizioni Ciro Salvo «Certo il forno a gas o elettrico permette]ono una standardizzazione maggiore anche con operatori meno specializzati, ma bisognerebbe vedere cosa succede a regime, quando le pizze da sfornare sono tante». Ne sa qualcosa lui, che da 50 Kalò ha dovuto aggiungere un secondo forno, rigorosamente a legna.

Torna sull’importanza del “manico” anche Salvatore Santucci, al banco di Ammaccàmm: «Possono esserci fornai che non sanno fare i pizzaioli, ma non pizzaioli che non sanno fare i fornai. Come fai a dire certe cose a un pulsante?» chiede provocatoriamente.

Replica Davide Civitiello, che all’esperienza “internazionale” al banco di Rosso Pomodoro affianca 10 anni di esperienza come fornaio, appunto: «Ho dovuto cuocere pizze in ogni condizione, dalla parrilla (la griglia, ndr) a una cucina dove abbiamo dovuto modificare il forno a gas “tradizionale” per renderlo il più possibile simile a quello a legna. Bisogna essere in grado di ragionare sulla tecnologia e cercare di adattarsi, ma se dovessi aprire oggi una pizzeria non avrei nessun dubbio – dice senza mezzi termini – sceglierei il forno a legna».

Anche Attilio Bachetti concorda sull’importanza del pizzaiolo/fornaio, vero “fattore chiave” di una buona pizza, e non si tira indietro davanti alle sfide dell’innovazione tecnologica anche se resta decisamente un tradizionalista, tra i pochi ad usare ancora le pampuglie per ravvivare il fuoco.

Ciro Oliva infine solleva la questione – di acquisto ma soprattutto di gestione – dei costi delle diverse tipologie di forno, sollecitando comunque i suoi colleghi a mantenere lo spirito di squadra e a restare uniti anche davanti alle sfide del futuro.

Momento di confronto

Momento di confronto

La Pizza Napoletana dentro e fuori Napoli

Ultimo round “internazionale” per primo giorno di lavori, che vede insieme la tradizione partenopea più verace secondo due direttrici opposte: al tavolo dei relatori, introdotti da Barbara Guerra, siedono infatti Gino Sorbillo, Antonio Starita, Franco Manna – fondatore e dirigente di Rossopomodoro e del gruppo Sebeto spa – e Gennaro Nasti, pizzaiolo napoletano che a Parigi sforna napoletanissime pizze da un forno a gas

Forte di un osservatorio mondiale costituito da 140 punti vendita in 10 nazioni diverse, Franco Manna rivendica orgogliosamente la capacità di essere riusciti a combinare tradizione e innovazione al di là delle comode etichette: «Quando abbiamo iniziato con la catena Pizza&Contorni, nel 1988 – ha ricordato – la Pizza Napoletana era un’altra cosa, e non era così nota. Avremmo potuto adattarci alle altre culture e snaturarla, invece abbiamo deciso di puntare sulla cultura e sulla veridicità usando solo prodotti autenticamente italiani e campani, lavorando molto sull’impasto e anche sulla cottura, che nella testa delle persone coincide con quella nel forno a legna. Ma secondo Manna puntare tutto sul forno a  legna potrebbe in futuro rivelarsi un disvalore, anche dal punto di vista del marketing; meglio allora impegnarsi per preservare la manualità e l’artigianalità della pizza, vale a dire il “fattore umano”, vero plus distintivo: nelle catene mondiali della pizza – tra le cui prime dieci non ce n’è nemmeno una italiana – si usano panetti congelati, e questo sarebbe del tutto inammissibile per una Pizza Napoletana.

Sta per aprire un ristorante a New York anche Antonio Starita, Cavaliere del Lavoro e titolare di una delle più note e antiche pizzerie della città, ma resta decisamente legato alla tradizione anche a costo di andare contro a molti suoi colleghi e ai pareri quasi unanimi dei critici: «Io ho un concetto diverso della pizza – dice – per me deve essere un cibo allegro e semplice, non roba da scienziati». La pizza “non ha bisogno di laureati”, a suo parere, ma solo di impegno e passione. Tuttavia ammette: «Ho visto pizzaioli bravi cacciare pizze buone anche da forni elettrici, e viceversa», e lancia una dovuta provocazione: «La vera sfida per il futuro è quella di organizzare l’avvenire della Pizza Napoletana, se fosse nata a Milano adesso sarebbe molto più avanti».

La gavetta l’ha fatta proprio al forno di Starita Gennaro Nasti, il pizzaiolo che con le sue pizze – sfornate da un forno a gas di ultima generazione a La Famiglia, la pizzeria dei Rebellato a Parigi – ha involontariamente dato il la al tema del convegno: «Oggi possiamo portare all’estero i pomodori del piennolo e la mozzarella di bufala per fare una vera pizza – afferma – ma se invece non è possibile portare il forno a legna, occorre trovare una soluzione alternativa». Non tutti, però, puntualizza Antonio Starita, hanno avuto la costanza di stare per 10 anni dietro al forno a imparare come ha fatto lui.

Torna, sempre più urgente, il tema della formazione che ormai non può prescindere né da un corpus di competenze scientifiche né da un serio e lungo apprendistato e nemmeno da un approccio manageriale. E proprio in questa direzione vanno i progetti di FormaMentis, come spiega il direttore Giuseppe Melara, che ha voluto il convegno come occasione di incontro e scambio di vedute con i pizzaioli per mettere a punto un iter formativo che unisca conoscenza e abilità per la creazione di una seria competenza professionale, e che rispecchi esigenze e specifiche richieste da parte del settore

Tocca infine a Gino Sorbillo chiudere la sessione, con un ulteriore sollecito all’apertura e al confronto sincero e trasparente tra colleghi con l’obiettivo comune di affrontare l’innovazione senza voltare le spalle alla tradizione: «La scuola napoletana deve essere aperta e puntare sempre a migliorarsi – spiega – proprio per questo ho voluto la miaCasa della Pizza per accogliere colleghi napoletani e non, per confrontarci e scambiarci esperienze e conoscenze». Pensoir e laboratorio, ospita non a caso un forno a gas: «Anche se fanno “scandalo” si tratta di innovazioni necessarie, per fortuna c’è chi lavora su nuove tecnologie per darci modo di sperimentare» conclude Sorbillo, lanciando una provocazione anche alla stampa: «Vorrei che ogni tanto venissero a lavoro con noi e non solo a mangiare la pizza, da quando alziamo la serranda al mattino fino a notte, per capire qualcosa di più del mestiere del pizzaiolo».

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